LA MIA VITA D'ATLETA
...di Marcello Stopponi


Mi è stato chiesto di ricordare qualche episodio della mia vita atletica in occasione dell’anniversario della Polisportiva Roma XIII. Se da un lato la cosa mi ha lusingato, dall’altro mi ha risvegliato la nostalgia per i vecchi tempi in cui scorrazzavo per le piste e le pedane del Lazio, facendomi di colpo sentire vecchio. In ogni caso la vanità ha avuto il sopravvento, e il pensiero che le mie memorie atletiche sarebbero comparse su un sito web mi ha fatto superare ogni pigrizia e rimpianto.
Mi chiamo Marcello Stopponi, negli anni ‘70 e ‘80 ero un saltatore di lungo e di triplo, ora faccio l’ortopedico in ospedale..

Il periodo in cui ho gareggiato con la Polisportiva Roma XIII è stato dal 1981 al 1984, gli anni in cui ho stabilito i miei primati personali (7,04 nel lungo e 14,91 nel triplo). In seguito sono rimasto sempre in contatto e in amicizia con atleti e dirigenti della società, ogni tanto ne visito qualcuno, e circa una volta l’anno mi capita fare una garetta amatoriale….con rendimento piuttosto scarso, e acciacchi in abbondanza.

Di episodi da ricordare ne avrei diversi, ma credo che ben pochi frequentatori del sito sarebbero disposti a leggerli tutti, per cui mi limiterò a un paio, cercando di essere breve. Dovendo rievocare il clima e lo spirito della Polisportiva di quegli anni senza dubbio ripenso ai campionati di società di prove multiple. In quella occasione Claudio Zolesi trascinava tutti noi che avevamo un qualche contatto con il campo sportivo, sia che fossimo fondisti, sia lanciatori o velocisti, sulla metropolitana per lo Stadio delle Terme e ci costringeva a cimentarci con una serie discipline per lo più ignote a ognuno di noi, con risultati in genere esilaranti. Capitava di vedere lanciatori scavare profondi crateri nelle buche dei salti, o fondisti che si procuravano fratture dell’avampiede nel tentativo di lanciare il peso almeno oltre la pedana. Ricordo che una volta Claudio mi tenne il muso tutto il giorno, perché secondo lui non mi ero impegnato abbastanza nei 200 metri, per risparmiarmi per la gara successiva, il salto in lungo, a cui tenevo di più. Oggi posso confessare che era vero. Tuttavia fui perdonato vista la tenacia con cui resistetti ai micidiali 1500 metri finali. Nonostante la mia refrattarietà alle distanze oltre i 60 m. (per me i millecinque erano più o meno equivalenti ad una maratona) tenni duro e, noncurante delle gambe pesanti come il marmo, dei sudori freddi e di un inizio di infarto miocardico, riuscii a tagliare il traguardo, abbozzando una sottospecie di sprint. Il tempo lo ho rimosso dalla memoria per pudore e amor proprio.

Le alchimie dei campionati di società mi portavano a volte a coprire gare improbabili, come il lancio del peso o gli ostacoli, che regolarmente non portavo a termine, con il disappunto e le maledizioni del boss Bruno Matarazzo e del solito Claudio.

Nel 1984 sono riuscito a partecipare ai campionati italiani assoluti nel salto triplo. Ero in crescendo di forma e in allenamento andavo sempre meglio, per cui ero molto carico e fiducioso di fare una bella figura. Due giorni prima della gara però ho iniziato ad avvertire un forte dolore alla gola, che mi impediva di deglutire, e quindi di mangiare cibi solidi: si era formata un’afta, una specie di piaga che, oltre al dolore, mi dava febbre a 39°. Non ho mai saputo a cosa fu dovuta, né mi è più tornata in seguito, fatto sta che dimagrii di due chili in due giorni, ma agli assoluti volli esserci lo stesso, anche se avevo ancora la febbre. Saltai circa 14 e venti e arrivai quasi ultimo, fu comunque una soddisfazione a cui non avrei rinunciato forse nemmeno sulla sedia a rotelle!!!

Tra mille infortuni e sacrifici (contemporaneamente studiavo all’università), in più di dieci anni di atletica agonistica ho avuto molte piccole-grandi soddisfazioni e ho imparato importanti lezioni. I valori dell’impegno e della correttezza sono stati dei punti di riferimento in tutte le situazioni della vita. Ho avuto anche occasione di conoscere persone con cui ho sviluppato una sincera amicizia e di fare qualche viaggio per l’Italia.

Tutto questo trovava la dimensione più autentica nell’ambiente della Polisportiva Roma XIII, dove riuscivano a convivere la realtà dell’agonista di livello nazionale, con quella della pratica di base giovanile e amatoriale, e dove le parole d’ordine erano passione e amicizia. Penso che sia fondamentale che in anni di crisi per questo sport riescano a sopravvivere società di questo tipo dove l’aspetto competitivo convive con il momento di aggregazione, e il piacere di passare i pomeriggi a impegnarsi per raggiungere un risultato prevale sulle alchimie della cultura della vittoria ad ogni costo.

Marcello         





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